Episodio 7-2: Beyond water

Nella puntata precedente [1] abbiamo introdotto i reattori a gas, e descritto la prima generazione di queste macchine. Oggi parleremo di come questa tecnologia si sia evoluta fino ad arrivare ai giorni nostri.

La seconda generazione dei GCR è conosciuta universalmente sotto il nome di AGR, o Advanced Gas Reactor: si tratta di tecnologia esclusivamente indigena made in UK, esattamente come i predecessori MAGNOX.

Alcuni elementi del design di quest’ultimo furono mantenuti, come ad esempio la possibilità di fare refueling online (il che è vantaggioso dal punto di vista economico perché diminuisce i tempi morti dovuti al cambio di combustibile), ma negli AGR il combustibile rimane per molto più tempo nel reattore. Questo grazie al fatto che l’uranio viene arricchito al 2.2 – 2.7%, il che permette anche una flessibilità maggiore sui materiali del nocciolo, che potranno permettersi di perdere qualche neutrone in più per strada.

Nello specifico, il combustibile torna nella nostra familiare forma di pasticche di diossido di uranio (ben più resistente alle alte temperature dell’uranio metallico, sebbene conduca peggio il calore) impilate in guaine in acciaio inossidabile: il problema delle alte temperature nel centro delle pasticche, che potrebbero superare i 2000 °C, viene risolto eliminando il centro delle pasticche, che hanno quindi forma anulare.

Questi cambiamenti permettono al reattore di raggiungere temperature ben più interessanti, fino a solidi 640°C all’uscita, che consentono la produzione di vapore a 540°C, per un’efficienza termodinamica complessiva che si attesta al 40%, nettamente migliore anche dei più moderni PWR.

Anche l’output di queste macchine è aumentato considerevolmente, arrivando a ben 660 MWe a reattore.

​​I valori di temperatura del vapore e potenza termica erano inoltre stati scelti per combaciare con quelli dei bruciatori a carbone impiegati nelle centrali britanniche, in modo da poter condividere con questi ultimi turbine, alternatori e condensatori – una soluzione di una certa raffinatezza, che permette di sfruttare appieno l’esperienza pregressa e le catene di distribuzione già esistenti, e che la Cina sta esplorando con i reattori HTR-PM.

Negli AGR la sicurezza è ovviamente migliorata, con due sistemi di shutdown di emergenza diversi: il primo è l’iniezione di azoto nel gas termovettore (l’azoto assorbe molti più neutroni della CO2), e il secondo è costituito da “biglie” borate, in caso la pressione sia troppo bassa e pertanto la concentrazione di azoto sia insufficiente.

Il destino di questi reattori fu però piuttosto deludente: uno dei principali argomenti per l’economicità di questi reattori era basato proprio sul refueling online, tuttavia furono riscontrati dei problemi di vibrazioni mentre veniva effettuato il refueling durante le il funzionamento a massima potenza, a causa del flusso del refrigerante, pertanto si decise di sospendere questa pratica, effettuando refueling solo a potenze basse o a reattore spento. Inoltre, come nel caso dei MAGNOX, in UK i design dei vari AGR hanno subito alcune modifiche da un sito all’altro, e questa mancanza di standardizzazione è stata molto deleteria per l’economicità di queste macchine. Per una spiegazione generale sul programma nucleare inglese, meno approfondita riguardo alla tecnologia e più incentrata sul lato storico/economico/project management, consiglio questo video [2]. In UK esistono ancora alcuni AGR in funzione, ma per il futuro il paese sembra solidamente orientato verso i PWR.

Ora che abbiamo chiuso il capitolo più “british” di questo articolo, possiamo iniziare a parlare della naturale evoluzione di queste macchine, ovvero gli HTGR, High Temperature Gas Reactor. Nonostante gli insuccessi della filiera inglese, infatti, furono numerosi i prototipi che vennero costruiti e operati nei decenni.

L’idea di fondo era sempre la stessa: aumentare la temperatura, ovvero prendere il più grande vantaggio di questi reattori e cercare di massimizzarlo il più possibile.

Tuttavia inizialmente vi erano due fattori che impedivano di fare questo passo ulteriore: il primo è il fatto che il gas di raffreddamento di anidride carbonica tende a essere corrosivo a temperature alte, e il secondo è che l’incamiciatura in acciaio, per quanto resistente, non regge temperature eccessive, soprattutto a certi livelli di pressurizzazione.

Pertanto, la CO2 fu sostituita con il ben più inerte Elio 4, mentre il cladding venne sostituito con una copertura ceramica, utilizzando il TRISO [3].

E qui arriviamo ad un bivio: alcuni design adattarono la configurazione pebble-bed (perlopiù in Germania), altri quella prismatica (USA): entrambe le filiere usano il TRISO, ma nel design a pebble-bed queste piccole sfere della dimensione di un mm vengono coagulate in sfere grandi come palle da tennis, più mobili, mentre nell’altro caso si usano invece delle forme cilindriche o prismatiche che rimangono fisse e possono essere rimosse in gruppi.

Le opzioni che sono state testate sono moltissime, e non mi dilungherò a elencare e commentare tutti i design: fortunatamente c’è questa comoda tabella che ne elenca le proprietà principali [4] (vedi immagine).

Purtroppo ben pochi di questi piccoli prototipi videro dei successori (per vari motivi, tra cui l’embargo del petrolio degli anni 70’ che provocò una sostanziale diminuzione della domanda dei consumi), ma alcuni fortunatamente furono portati avanti, tra cui il famoso HTR-PM cinese, il più recente reattore di quarta generazione al mondo, successore dell’HTR-10.

Oggigiorno gli HTGR stanno subendo un rinnovato interesse, in quanto hanno la possibilità di produrre calore di alta qualità (i.e. ad alta temperatura) che potrà essere usato in ambiti industriali hard to abate, tra cui la produzione di acciaio e la produzione di idrogeno con metodi più efficienti (come la steam electrolysis o altri metodi termochimici, trovate una tabella molto utile in [5] e approfondimenti in [9], in particolare trovo interessanti le immagini 2.5 e 3.2).

Per questo motivo sono stati aggiunti nel ventaglio delle tecnologie di quarta generazione, e al momento ci sono già diversi design che, se non sono già in operazione, potrebbero esserlo tra non molto tempo.

Tra questi i più promettenti sembrano essere i seguenti.

Lo Xe-100 [6], di X-Energy è un HTGR modulare di tipo pebble-bed da 80 MWe che potrà raggiungere temperature di 750 °C. La configurazione pebble-bed è vantaggiosa dal lato della disponibilità in quanto permette relativamente facilmente il refueling online, e l’utilizzo estensivo del TRISO garantisce una ritenzione (i.e. capacità di contenere) significativa dei prodotti di fissione, il che permette di avere una zona di evacuazione in caso di incidente di soli 400 m circa di raggio.

Il MMR [7] di Ultra Safe Nuclear è un HTGR micro modulare, in quanto si attesta a potenze più modeste (attorno a 5 MWe o 15 MWth), e opera ad una temperatura di 630°C. Pur usando sempre il TRISO, il combustibile in questo caso è in configurazione prismatica, sotto forma di pellet, e il materiale ceramico è il resistentissimo carburo di silicio.

Questo reattore è sufficientemente piccolo da poter essere completamente interrato e non ha bisogno di acqua per il raffreddamento. Inoltre, compensa il fatto di non poter fare refueling online con il fatto che il combustibile può durare anche 20 anni senza essere sostituito, grazie ad un arricchimento al 20%.

Infine, vi è l’idea di accoppiare al reattore un circuito secondario di sali di nitrati per poter modulare la produzione senza dover abbassare l’output del reattore stesso, con la stessa tecnologia che utilizzano le centrali solari a concentrazione.

Da ultimo, abbiamo il KP-HFR [8], di Kairos Power. Questa è un’aggiunta particolare in quanto non si tratta strettamente di un reattore a gas: in effetti, è raffreddato a sali fusi. Ciononostante, ho deciso di inserirlo qui, visto che ha molti più elementi in comune con gli HTGR di quanti ne abbia con i MSR.

A conti fatti, è praticamente un HTGR dove al posto dell’elio c’è il FLiBe (un sale particolare che sentirete spesso nell’articolo sui MSR).

Questo reattore di tipo pebble bed (sempre con il TRISO) avrà una produzione da 140 MWe e raggiungerà temperature di 650°C, con un circuito secondario di sale simile a quello dell’MMR (e di Natrium), per modulare la produzione.

I vantaggi di usare il sale fuso al posto dell’elio sono diversi:

– ha una capacità di scambio di calore significativamente migliore di un gas, il che permette di aumentare la densità di potenza e di avere un nocciolo più compatto

– non ha bisogno di lavorare a pressioni alte, il che permette di avere vessel meno spessi

– ha importanti capacità di ritenzione, ovvero in caso ci fossero perdite di prodotti di fissione dai kernel di TRISO, il sale reagirebbe con i più volatili, reattivi e pericolosi (iodio e cesio) formando altri sali che quindi rimarrebbero nel liquido di raffreddamento, abbattendo eventuali emissioni. Combinando questo sale e il TRISO, non è fuori dal mondo addirittura ipotizzare che il vessel non abbia bisogno di essere classificato come nuclear grade, il che abbatterebbe i costi in maniera significativa.

Dall’altro lato della medaglia, questo bizzarro mix di tecnologie è chiaramente qualcosa di inesplorato e incerto; inoltre, l’introduzione dei sali inserisce una serie di complicazioni non indifferenti, tra cui la corrosione degli acciai strutturali, ma approfondiremo questo tema quando parleremo dei MSR.

Concludo con una nota personale e soggettiva: a me questa famiglia di reattori non piace granché.

Le dimensioni dei noccioli e la pressurizzazione implicano la presenza di costosi e grossi recipienti in pressione, inoltre il TRISO è il combustibile nucleare più costoso in commercio, pertanto non sono convintissimo della competitività di queste macchine su altre tecnologie. Aggiungendo i problemi sul back-end della grafite, e la pressoché impossibilità di riprocessare il TRISO, lo scetticismo aumenta.

Pur da “hater” di questa tecnologia, devo ammettere però che non gioca sullo stesso piano degli altri reattori: un BWRX-300, per quanto economico, non darà mai calore industriale ad un’acciaieria. Pertanto, sono sicuro che queste macchine potranno dare un contributo nel campo del process heat, e spero che gli sforzi si concentrino in quella direzione piuttosto che sulla “banale” produzione di elettricità.

Però, ecco, fossi un’azienda che sviluppa reattori a gas, mi guarderei alle spalle: ci sono altri giocatori che potrebbero contendersi il premio in questa partita… alcuni dei quali vedremo nelle prossime puntate!

Nota: in letteratura si trova spesso anche la sigla VHTR (Very High Temperature Reactor), che fa riferimento a quella sotto-classe di HTGR in grado di operare a temperature superiori a 750 gradi, potenzialmente fino a oltre 1000 gradi.

-Leonardo, Fabio, Enrico, Fulvio, Luca

[1] Episodio 7-1: Beyond water

[2] https://youtu.be/p-wrruwzASc

[3] Il combustibile – parte 2: Meglio di UO2?

[4] https://aris.iaea.org/PDF/PrismaticHTR.pdf

[5] https://world-nuclear.org/…/nuclear-process-heat-for…

[6] https://x-energy.com/reactors/xe-100

[7] https://www.usnc.com/mmr/

[8] https://kairospower.com/technology/

[9] https://www.oecd-nea.org/…/high-temperature-gas-cooled…