Siamo giunti al quinto gruppo di reattori, che finalmente ci porterà a parlare anche di quarta generazione. Oggi esaminiamo infatti reattori a gas-grafite, o GCR (gas cooled reactor).
Sebbene abbiano tutti in comune le ovvie caratteristiche che si possono evincere dal nome (moderati con grafite e raffreddati a gas), c’è una sorprendente diversità nei design che sono stati realizzati durante la storia.
Dall’ultima puntata di questa rubrica, in cui abbiamo trattato gli LWGR [1], abbiamo imparato che il vantaggio principale dell’uso della grafite è che costa poco rispetto all’acqua pesante (anche se ha alcuni problemi che approfondiremo in seguito): qual è invece la logica dietro all’uso del gas come termovettore?
Ad una prima analisi, la scelta sembra piuttosto stramba: un gas per il raffreddamento è nettamente peggiore rispetto ad un liquido, essendo molto più rarefatto.
Questo rende necessario che sia pressurizzato (come nei reattori ad acqua, solo che lì è per fare in modo che quest’ultima rimanga liquida a temperature alte) e fatto muovere a velocità molto significative per ottenere uno scambio termico sufficiente, il che significa dotarsi di pompe molto potenti, per muovere queste quantità abnormi di aria. E infatti le pompe di un reattore a gas possono arrivare a consumare fino al 10% dell’output del reattore stesso (in un EPR le pompe consumano circa il 2% dell’output lordo [2], i reattori a gas MAGNOX arrivano al 10-13% [3], mentre i più moderni AGR si attestano su un 6-7% [4]).
Per migliorare lo scambio termico, inoltre, è necessario limitare la “densità di potenza” del reattore, ovvero la quantità di energia termica prodotta per unità di volume del nocciolo: più sarà bassa questa, più grande sarà la superficie disponibile all’aria per asportare una certa quantità di calore. Per dare qualche numero, il nocciolo di un AGR ha una densità di potenza media pari a circa 1/40 rispetto ad un PWR, 1/20 rispetto ad un BWR, ¼ rispetto ad un PHWR.
Per raggiungere potenze significative mantenendo densità di potenza abbastanza basse, il nocciolo dovrà quindi raggiungere dimensioni importanti, e infatti i noccioli dei reattori a gas sono enormi: l’immagine 1 mostra a confronto le dimensioni dei recipienti in pressione che abbiamo visto sinora.
Chiaramente, un recipiente in pressione di queste dimensioni interamente in acciaio (che, ricordiamo, deve essere molto spesso a causa della pressione, che in un reattore a gas si aggira sui 4 MPa) è estremamente complesso, pertanto ci si affida normalmente a strutture in cemento armato precompresso con rivestimento interno in acciaio.
Un altro problema importante è l’uso stesso della grafite. Qualsiasi materiale in un reattore nucleare viene inevitabilmente irraggiato e, nel caso di materiali solidi, la loro struttura cristallina viene lentamente modificata, con varie conseguenze. La grafite, in particolare, è insidiosa, per diversi motivi:
1. le collisioni dei neutroni con gli atomi di carbonio provocano un accumularsi di difetti, detti “coppie di Frenkel”, nella struttura cristallina. Queste coppie sono costituite dai un atomo che viene spostato dalla sua posizione in un’altra cosiddetta “intersiziale” (tra altri atomi) e dalla lacuna corrispondente alla sua posizione originaria. Questi difetti sono a tutti gli effetti dell’energia potenziale accumulata nella grafite. Questa grafite, quando viene riscaldata fino ad una certa temperatura, rilascia tutta in una volta questa energia potenziale (a causa di un fenomeno chiamato “effetto Wigner”), facendo aumentare quasi istantaneamente la temperatura e provocando potenzialmente un incendio, se il materiale si trova a contatto con l’aria (cosa che è successa nell’ incidente di Windscale) o causando aumenti di temperatura fortemente localizzati che potrebbero causare danni da dilatazione termica incontrollata.
Questo problema può essere mitigato scaldando periodicamente la grafite in modo da “scaricare” in maniera controllata l’energia potenziale accumulata nel solido, oppure operando normalmente a temperature sufficientemente alte da impedire che ci sia un accumulo di difetti nella struttura cristallina. Quest’ultima opzione è tipicamente quella più utilizzata, in quanto basta arrivare intorno ai 300°C.
2. durante la vita della grafite in un reattore, questo materiale va incontro a diverse modifiche di geometria e variazioni delle proprietà termomeccaniche. Nello specifico, va prima a restringersi, poi a gonfiarsi, il tutto in funzione della quantità di radiazioni che ha assorbito, che chiaramente non sono omogenee su tutto il reattore. Bisogna dunque tenere in considerazione tutte le variazioni di dimensioni a cui potrebbe andare incontro la grafite nel corso della vita utile del reattore, impedendo che gli sforzi nel materiale possano portarlo a creparsi o a deformarsi andando a bloccare le barre di controllo.
Questi problemi, uniti al fatto che c’è una perdita di peso della grafite dovuta alla corrosione per il gas di raffreddamento, limitano anche la vita utile del reattore, diversamente dai LWR ,di cui invece abbiamo evidenza che possano funzionare molto, molto a lungo [5].
3. la grafite irraggiata è un rifiuto abbastanza problematico, in quanto piuttosto voluminosa (in UK comprende il 30% del volume dei rifiuti radioattivi di medio livello da sola) e tende a frantumarsi e produrre polvere radioattiva. Inoltre ha il brutto vizio di decadere in un tempo non così lungo da richiedere un deposito geologico, ma nemmeno tanto breve da rendere sufficiente uno stoccaggio superficiale. Infine, viene prodotta in quantità tali da rendere i reattori a gas-grafiti poco appetibili politicamente, a causa proprio della quantità di rifiuti prodotti (che resta inferiore rispetto ad altre forme di energia, ma superiore a quella prodotta da altri tipi di reattori). La ricerca su tecniche di immobilizzazione di questo tipo di rifiuti è ancora in corso.
Gli svantaggi sin qui elencati sembrano effettivamente significativi, ma ovviamente i reattori a gas comportano anche dei vantaggi notevoli.
Ad esempio, diversamente dagli RBMK, il rischio di progettare un nocciolo con un coefficiente di vuoto positivo non esiste, in quanto non è presente acqua – peraltro un gas in termini di neutronica è già considerato come “vuoto” e non può crearsi un vuoto in un altro vuoto. Inoltre, un evento di LOCA (loss of coolant accident) non è possibile, in quanto, per eliminare il fluido di raffreddamento, bisognerebbe fisicamente portare a vuoto spinto il nocciolo, evento decisamente implausibile. Certo, in caso di danneggiamento della struttura in calcestruzzo che contiene il nocciolo, si potrebbe perdere la pressurizzazione, il gas di raffreddamento (che sia He o CO2) verrebbe disperso e mischiato con altri gas, il che peggiorerebbe le capacità di scambio termico, quindi non si parla comunque di qualcosa di innocuo, ma la circolazione naturale in questi reattori è un alleato molto importante.
La massa stessa della grafite, inoltre, costituisce un vantaggio: avendo una capacità termica molto grande, la temperatura del reattore cambierà molto lentamente e dunque le risposte saranno più lente e quindi controllabili.
Un vantaggio significativo riguardante la sicurezza è legato alla chimica. Sinora abbiamo sempre parlato di reattori che in qualche modo avevano a che fare con l’acqua, e, per ragioni di economicità, trasparenza di neutroni e prestazioni meccaniche, le leghe preferite per le guaine del combustibile in questi tipi di reattori sono tutte a base di Zircalloy. Un potenziale rischio legato a questo dettaglio è il fatto che queste leghe, quando vanno a contatto con del vapore ad alta temperatura, si degradano con una certa rapidità, producendo idrogeno potenzialmente esplosivo (vedi TMI o Fukushima). In questo caso, non essendoci acqua nel nocciolo, questo rischio è eliminato.
Il vantaggio più importante dei reattori a gas, tuttavia, è il fatto che possano raggiungere temperature molto alte, dal momento che un gas, per definizione, non potrà ulteriormente cambiare di fase. L’ovvia conseguenza è la possibilità di poter raggiungere delle efficienze di Carnot significativamente migliori rispetto agli LWR, che sono difficilmente vanno oltre efficienze del 30-35%. Inoltre, è possibile utilizzare il calore (direttamente, o sotto forma di calore di scarto) per processi industriali, motivo che quasi da solo ha fatto ottenere a questa famiglia di reattori un posto tra i gruppi di design di reattori di quarta generazione (HTGR e VHTR, di cui parleremo nella seconda parte).
Un ultimo vantaggio, questo più di natura storica, è il fatto che un nocciolo di questo tipo, con alcuni accorgimenti, può essere ingegnerizzato per funzionare ad uranio naturale, come per i CANDU.
Approfondendo questo aspetto, cogliamo l’occasione per ripercorrere la storia di questo gruppo di reattori.
La prima generazione dei GCR nasce con i MAGNOX inglesi (di cui noi italiani avevamo un esemplare a Latina) e gli UNGG francesi, che sono due design piuttosto simili tra di loro.
Nascevano, in maniera simile agli RBMK, come reattori plutoginei dual purpose, ovvero in grado di produrre sia energia elettrica che plutonio per scopi militari. Il design stesso e l’utilizzo dell’ uranio naturale erano stati scelti in modo da ottenere dei burnup (che vi ricordo essere la quantità di energia sprigionata per unità di peso del combustibile) relativamente bassi; in altre parole, il combustibile stava poco tempo nel reattore.
Se ci seguite da abbastanza tempo, ricorderete senza dubbio che questo si traduce in una percentuale di plutonio weapon grade più pura.
Pertanto, per impedire che la frequente estrazione del combustibile fosse troppo debilitante per la disponibilità (availability) dell’impianto, il MAGNOX era progettato per funzionare con refueling online.
Un altro dettaglio volto all’uso militare di questa tecnologia era anche legato al fatto che il riprocessamento fosse una scelta obbligata per questo tipo di combustibile.
Questo è dovuto al fatto che la guaina (che era fatta di una lega di magnesio-alluminio, da cui viene il nome, o magnesio-zirconio nel caso degli UNGG) non potesse rimanere per lunghi periodi a contatto con l’acqua delle piscine di raffreddamento, a causa della corrosione, per cui il riprocessamento diventava l’unica opzione.
Un particolare interessante di questo design era il fatto che il combustibile fosse uranio metallico, il quale, avendo una maggiore densità di fissile rispetto ad altre leghe, permetteva al reattore di funzionare con uranio naturale (l’acqua pesante è un moderatore migliore della grafite per cui non ha bisogno di questo accorgimento).
Purtroppo, l’uranio puro è piroforico, e ha una serie di problemi che sono elencati in questo ottimo articolo del nostro Fabio [6], ma vi anticipo già che nel prossimo articolo torneremo a parlare di questo combustibile in quanto sta ricevendo una rinnovata attenzione.
Il fluido di raffreddamento dei MAGNOX era anidride carbonica, dal momento che ha una buona compatibilità chimica con la grafite. Come vedremo in seguito, aumentando ulteriormente le temperature, questo gas avrebbe provocato dei problemi di corrosione sui metalli strutturali, in particolare dei generatori di vapore.
Infatti, nonostante uno dei vantaggi maggiori dei GCR sia proprio il poter raggiungere temperature e pertanto efficienze maggiori, il MAGNOX raggiungeva a malapena i 360°C, valore poco superiore a quello dei PWR. Questo era anche dovuto ai numerosi limiti di sicurezza sulla temperatura presenti nel reattore: il combustibile metallico non poteva superare i 660°C per evitare il cambio di fase, il cladding non poteva superare i 450°C per non degradarsi, ecc.
Per tutti questi motivi, il design del MAGNOX non ebbe molta fortuna, anche perchè praticamente non ne furono mai costruiti due uguali – basta guardare la differenza di output tra i reattori di Calder Hall (35 MWe) e di Wylfa (490 MWe)- e persino il combustibile non era esattamente lo stesso tra un reattore all’altro.
Molti dei problemi di questo design erano tuttavia dovuti al fatto che fosse dual purpose. Per fortuna, l’esigenza di produrre plutonio weapon grade venne presto eliminata e la tecnologia andò ad evolversi, dando vita ai reattori di seconda generazione della filiera a gas.
Ma di questo parleremo nella seconda parte di questo articolo
Alla prossima!
-Leonardo, Fabio, Enrico, Fulvio, Luca
[1] Episodio 6: Il reattore proibito
[2] https://inis.iaea.org/…/NCL…/_Public/44/078/44078372.pdf
[3] https://inis.iaea.org/…/NCL…/_Public/30/052/30052480.pdf
[4] https://www.osti.gov/etdeweb/servlets/purl/448871