Il Pressurized Water Reactor (PWR) o reattore ad acqua pressurizzata rappresenta la tipologia di reattore nucleare più usata al mondo: circa due terzi dei reattori per la produzione di energia elettrica in funzione nel mondo e l’80% di quelli in costruzione appartengono a questa tecnologia.
La fortuna di questo reattore deriva dal fatto che venne usato per la prima volta nei sottomarini all’inizio degli anni ’50 e ciò permise già nel 1957 di poter “copiare” il design per realizzare la centrale di Shippingport (Pennsylvania).
Come è fatto un PWR?
Il recipiente in pressione che contiene il nocciolo (detto anche “core”, che comprende le barre di combustibile, le barre di controllo e l’acqua) è chiamato “vessel”, ed ha la forma di un cilindro cavo con le parti superiore e inferiore semisferiche. Il diametro generalmente è di 4-5 metri e l’altezza di 12-14 metri, lo spessore di 25 centimetri e il materiale è una lega di acciaio e manganese-molibdeno. La struttura è progettata per sopportare pressioni più di 170 volte maggiori di quella atmosferica e temperature di quasi 350°C, ma per ragioni di sicurezza si lavora sempre a pressioni e temperature inferiori (155 atmosfere e 325°C al massimo).
17 tonnellate di acqua “fredda” (290°C) ogni secondo entrano dall’alto tramite un tubo chiamato “cold leg” e scendono lungo le pareti del vessel all’interno di un’intercapedine che le separa dal combustibile: l’elevatissima pressione mantiene l’acqua liquida a dispetto della temperatura. Arrivata sul fondo, l’acqua risale dal centro del nocciolo, andando a raffreddare le barre di combustibile e riscaldandosi a sua volta, finché non raggiunge nuovamente la parte superiore, dalla quale esce tramite un altro tubo, denominato con molta fantasia “hot leg”.
L’acqua non ha solo lo scopo di asportare il calore, ma serve anche da moderatore neutronico: i neutroni liberati dalla fissione del combustibile hanno velocità altissime, e a causa di ciò è poco probabile che riescano a fissionare altri atomi. Per mantenere stabile la reazione a catena, e dunque mantenere costante la potenza generata dal reattore, è necessario rallentare (moderare) i neutroni, in maniera tale da aumentare la probabilità di ottenere una nuova fissione.
I 2 o 3 neutroni liberati dalla fissione di un atomo di 235-U rimbalzano come in un flipper contro le molecole d’acqua e ad ogni urto perdono un po’ di energia finché non raggiungono la velocità minima, detta “velocità termica”, in quanto è la velocità imposta dall’agitazione termica delle molecole. Per questo motivo i reattori che fanno uso di materiali moderatori vengono detti anche “reattori termici”. Alcuni neutroni vengono assorbiti senza generare fissione dai vari materiali presenti nel nocciolo, ma se almeno uno riesce a fissionare un nuovo atomo di uranio la reazione a catena è stabile; questa situazione di normale funzionamento del reattore è detta “criticità”.
Senza l’acqua tutto questo non potrebbe avvenire e questo rappresenta un fattore di sicurezza molto importante.
Il bombardamento neutronico (parliamo di migliaia di miliardi di neutroni su ogni centimetro quadrato ogni secondo) rende radioattivo tutto il nocciolo, compresa l’acqua, e rischia di infragilire l’acciaio del vessel. Per attenuare questo fenomeno, vengono frapposti degli scudi neutronici di acciaio inox tra il combustibile e le pareti del vessel, e in aggiunta si inseriscono dei campioni all’interno del nocciolo fatti dello stesso materiale del vessel.
Periodicamente, questi campioni vengono rimossi e analizzati per verificare l’integrità della struttura e da ciò è possibile dedurre se il reattore può continuare a funzionare o meno.
Il combustibile è composto da ossido di uranio o da ossidi misti di uranio e plutonio e ha la forma di pastiglie cilindriche di diametro e altezza pari a circa 1 centimetro; le pastiglie vengono impilate una sopra all’altra dentro a delle barre lunghe circa 4 metri e sono compresse da molle poste all’estremità della barra.
Il materiale con cui sono fatte le barre è lo Zircaloy, una lega metallica in cui lo zirconio è l’elemento presente in quantità maggiori, ed è caratterizzato da una sezione d’urto per lo scattering dei neutroni molto piccola – in pratica interagisce molto poco coi neutroni, evitando così di “dar fastidio” al flusso neutronico.
La temperatura di fusione dello Zircaloy è di circa 1850 °C, mentre quella del diossido di Uranio è di 2800 °C, ma durante il normale funzionamento la temperatura della pastiglia è di circa 1200°C al centro e 500°C sui bordi.
Tra la pastiglia e la barra di Zircaloy c’è una distanza di mezzo millimetro, che serve perché durante il funzionamento del reattore si formano dei gas da fissione all’interno della pastiglia, i quali richiedono spazio per l’espansione. Questa intercapedine è riempita inizialmente con elio, perché è un gas poco pericoloso e con “alta” conducibilità termica; ciononostante, la caduta di temperatura in questo mezzo millimetro è di più di 200°C e quindi la temperatura della barra di zircaloy è di poco superiore a quella dell’acqua che la lambisce all’esterno.
Le barre vengono assemblate in un unico “elemento di combustibile”, di sezione quadrata, composto da 264 barre di combustibile, 24 barre di controllo e una barra usata per la strumentazione (misurazione di temperatura, pressione ecc.). In un singolo reattore ci sono circa 200 di questi pacchetti per un totale di più di 50000 barre di combustibile, che contengono in totale qualche decina di tonnellate di Uranio. In termini di volume, parliamo di qualche metro cubo di combustibile, che rimane dentro al reattore per 12-24 mesi e che a fine vita può essere riciclato per il 97%.
Le barre di controllo sono composte da materiali come Argento, Cadmio e Indio, che sono dei forti assorbitori neutronici e possono quindi facilmente “spegnere” il reattore. Tramite un sistema “a ragno”, le barre di controllo vengono inserite dall’alto e grazie ad un campo magnetico generato da una corrente elettrica rimangono sospese; questo serve perché, se dovesse mancare la corrente (ad esempio in caso di incidente), il campo sparirebbe e la forza di gravità farebbe cadere le barre nel vessel spegnendo le reazioni.
Abbiamo capito che il flusso neutronico dentro ad un reattore ha una certa importanza: si potrebbe in effetti dire “no neutroni, no party”. Però, durante il funzionamento, il combustibile si esaurisce lentamente, e quindi è necessario ridurre le perdite dei neutroni per mantenere la potenza costante; per fare ciò si usano due tecniche: la prima consiste nell’inserire degli ossidi di Gadolinio o di Erbio nel combustibile. Queste sostanze vengono chiamate “veleni bruciabili” e assorbono molti neutroni: servono nella fase iniziale di funzionamento del reattore, quando il combustibile è nuovo e quindi è necessario ridurre la quantità di neutroni nel reattore. Man mano che passa il tempo, queste sostanze spariscono, e quindi il loro effetto diminuisce, andando a compensare la diminuzione del combustibile. L’altra tecnica consiste nel disciogliere acido borico all’interno dell’acqua, regolandone la concentrazione. Anche questo è un forte assorbitore neutronico e quindi la diluizione dovrà calare con il passare del tempo.
L’ultima cosa da dire riguarda i neutroni ritardati, ovvero quei neutroni che non vengono generati dalla fissione di un atomo, ma dal decadimento radioattivo dei frammenti di fissione; questi neutroni sono molto importanti, perché compaiono con un ritardo legato al tempo di decadimento dello specifico isotopo radioattivo, e quindi permettono di regolare con maggiore facilità la potenza del reattore.
Una volta ottenuto un flusso di neutroni “costante” nel vessel, le reazioni di fissioni avvengono in maniera stabile, scaldando le pastiglie di combustibile, e con loro le barre e poi l’acqua.
Ora che abbiamo dell’acqua calda, cosa ce ne facciamo?
L’acqua calda serve a generare vapore nel generatore di vapore, che è di gran lunga l’oggetto più grosso dentro ad una centrale nucleare: dovete immaginarvelo come un cilindro alto 20 metri, di diametro compreso tra 3 e 5 metri, pieno zeppo di tubi fatti ad U, dentro ai quali scorre l’acqua che arriva dal reattore. All’esterno dei tubi scorre l’acqua del circuito secondario, che NON è radioattiva e che, entrando in contatto con i tubi caldi, vaporizza.
I generatori di vapore possono essere 2, 3 o anche 4 a seconda della potenza dell’impianto e per ciascuno di essi è necessario usare una pompa, mentre invece il vessel è sempre e solo uno.
All’uscita dai generatori, la struttura diventa del tutto simile a quella di un qualsiasi impianto termodinamico non nucleare, con una turbina, un condensatore, pompe e preriscaldatori che l’acqua incontra prima di tornare nuovamente dentro al generatore di vapore.
Una centrale può avere più di un PWR, anche 6, come l’enorme centrale francese di Gravelines (foto 3), che da sola produce la stessa energia di tutti gli impianti eolici e fotovoltaici italiani combinati.
A questo punto dovremmo parlare dei sistemi di sicurezza di un PWR, ma sono talmente tanti che meritano un post a parte, e li vedremo nella prossima puntata.
-Fulvio
Si ringrazia per il contributo l’ingegnere nucleare Michela Angelucci.
Foto 1-2: schemi di funzionamento di due diversi modelli di reattore PWR.


