Nuclear Economy – parte 1 di 2.
Oggi iniziamo a parlare di un argomento molto complesso, probabilmente il più difficile da debunkare tra tutti i falsi miti relativi all’energia nucleare, ovvero l’idea che il nucleare sia estremamente costoso, addirittura economicamente insostenibile.
Per poter trattare questo argomento, occorre prima capire quali sono i meccanismi di finanziamento di una centrale nucleare.
La costruzione di un singolo reattore ha un costo base compreso tra i 5 e i 7 miliardi di dollari, che può poi ulteriormente aumentare in caso di ritardi nei lavori o lungaggini burocratiche dovute agli enti regolatori.
Dal momento che generalmente le aziende che costruiscono reattori nucleari non hanno un simile capitale, la costruzione del reattore viene finanziata tramite prestiti: questi possono essere direttamente soldi pubblici dello Stato che commissiona la costruzione del reattore, o prestiti bancari di cui lo Stato si fa garante tramite il contratto di fornitura dell’energia – sostanzialmente lo Stato “promette” che acquisterà l’energia prodotta dal reattore una volta che la costruzione è stata terminata, e sulla base di questa promessa di ritorno economico la banca presta i soldi all’azienda per costruire il reattore.
Naturalmente sia i prestiti di Stato sia quelli bancari si portano dietro un tasso di interesse, e quest’ultimo è legato al rischio finanziario del prestatore: più l’investimento è rischioso, più il tasso di interesse deve essere elevato per compensare questo rischio.
Quanto sono alti i tassi di interesse per gli investimenti sul nucleare?
Nonostante gli investitori non abbiano alcun dubbio sulla sicurezza tecnologica del nucleare (come abbiamo visto la scorsa settimana parlando di assicurazioni e premi assicurativi), i tassi di interesse sono molto alti, e finiscono con l’incidere per oltre il 50% sul prezzo finale dell’energia elettrica: in foto potete vedere le proiezioni sul prezzo dell’energia che sarà prodotta dal reattore di Hinckley Point C una volta che sarà terminato.
Dunque il nucleare viene considerato una tecnologia sicura, ma un investimento pericoloso. Come mai?
È evidente che il principale fattore di rischio finanziario è che l’azienda non venda l’energia una volta che la centrale è stata ultimata, e che addirittura la debba smantellare in anticipo rispetto al previsto. Un’eventualità del genere ha una maggiore probabilità di verificarsi nei paesi ad alta instabilità politica, dove la decisione di investire in un programma nucleare potrebbe venire ribaltata alla successiva tornata elettorale, e questo “rischio regolatorio” è essenzialmente il motivo principale per cui in Europa i tassi di interesse sono così alti.
Un altro elemento che tende a gonfiare i tassi di interesse è poi dato dalle valutazioni delle varie agenzie di rating sulla stabilità dell’investimento. In particolare, per quanto riguarda il mercato dell’energia, una serie di parametri molto importanti sono gli Indici di Sostenibilità Dow Jones, stilati da Standard&Poor’s. Questi indici, che dovrebbero misurare sia la sostenibilità finanziaria sia quella ambientale, spesso danno alle aziende nucleari punteggi più bassi rispetto a quelli delle compagnie petrolifere, che incidentalmente sono molto più potenti sul mercato azionario e presenti in molti dei fondi di investimento la cui valutazione da parte di S&P è la principale fonte di introiti per quest’ultima.
Per abbattere di oltre il 50% i costi dell’energia nucleare basterebbe dunque che gli Stati finanziassero la costruzione dei reattori a tassi di interesse nulli – cosa che peraltro succede già con le energie rinnovabili: una simile proposta è attualmente in esame nel Regno Unito, e secondo le prime analisi una sua implementazione potrebbe essere sufficiente a dimezzare il prezzo finale dell’elettricità prodotta dai reattori così costruiti.
Quanto incide il costo del combustibile sul prezzo dell’energia? Nell’immagine allegata la produzione del combustibile incide per circa il 5% sul prezzo finale dell’energia, ma in quel 5% è incluso tutto il ciclo front-end dell’Uranio, ovvero estrazione del minerale, lavorazione, arricchimento e processamento. Il prezzo dell’Uranio di per sé incide per circa il 2,5% sul prezzo finale dell’energia elettrica (variabile da paese a paese), ovvero 0,4 centesimi per kWh.
Questo significa che, se anche il prezzo dell’Uranio decuplicasse nei prossimi anni, il prezzo dell’energia aumenterebbe di appena il 25%. Il grafico mostra inoltre come il prezzo dell’energia tenga già in conto i costi di gestione delle scorie e quelli relativi allo smantellamento e al decommissioning della centrale.
Nella seconda parte andremo ad analizzare più nel dettaglio le prospettive economiche a medio e lungo termine dell’energia nucleare e andremo a compararle con le altre fonti di energia.
Per approfondimenti:
https://www.world-nuclear.org/…/economics-of-nuclear…
https://www.oecd-nea.org/jcms/pl_14756
(notate che nel documento dell’OCSE si assume a scopo di indagine che il capacity factor di una centrale nucleare e di un impianto a gas siano entrambi all’85%; in realtà le centrali a gas raramente superano il 70%, mentre quelle nucleari sono praticamente sempre sopra il 90%)
-Luca