#25 QUANTE CE NE SONO?

“E allora le foibe scorie?”

Quantitativi, impatto ambientale e impatto mediatico.

Concludiamo con questo articolo la trattazione del problema delle scorie radioattive, abbiamo visto nella prima parte da cosa sono costituite e nella seconda parte come le scorie di alto livello, quelle più pericolose, si possano riciclare grazie ai reattori FBR, ma questo sia un procedimento costoso.

Ma quante scorie radioattive si producono nel mondo? Detto in maniera semplice, pochissime. Anche utilizzando reattori ad acqua leggera, e quindi limitandosi a sfruttare il fissile naturale (ovvero l’Uranio 235, che è appena lo 0,7% dell’Uranio nel mondo), un kg di combustibile arricchito al 3% fornisce comunque una quantità di energia pari a 20 tonnellate di gas, senza nemmeno considerare il riprocessamento – coi reattori autofertilizzanti si otterrebbe da 1 kg di Uranio la stessa energia di 1200 tonnellate di gas, o 3000 tonnellate di carbone.

Il fatto che la densità energetica del combustibile sia così alta implica che ne servano quantitativi piuttosto limitati per soddisfare quello che è l’attuale fabbisogno modiale di energia; in effetti, oggi nel mondo vengono utilizzate meno di 70.000 tonnellate di Uranio all’anno – per fare un paragone ogni anno noi immettiamo in atmosfera 35-40 miliardi di tonnellate di gas dovuti alla combustione degli idrocarburi (CO2, ma non solo).

70.000 tonnellate possono sembrare comunque parecchie, ma occorre considerare che l’Uranio è un elemento estremamente denso, e che pertanto in termini di volume si tratta in realtà di quantità davvero minime – tutte le scorie radioattive prodotte fino ad ora nel mondo potrebbero stare all’interno di un’area grande quanto un campo da football americano, riempito fino ad un’altezza di 3 metri.

Si tratta quindi di rifiuti che, oltre ad essere riciclabili (lo ripeterò fino alla nausea, perché è importante che si capisca che il problema delle scorie radioattive non è un problema insolubile, è semplicemente una questione di praticità della soluzione), sono solidi, compatti e facili da stoccare.

Ma quante se ne produrrebbero se tutto il mondo andasse avanti a energia nucleare? Per rispondere a questa domanda possiamo guardare ai dati francesi: la Francia produce circa il 75% della sua energia col nucleare, ed è un paese altamente industrializzato con un elevato indice di sviluppo, quindi è un ottimo metro di misura.

In Francia ogni cittadino produce annualmente 1200 kg di rifiuti, di cui 100 kg di rifiuti speciali (rifiuti tossici o che comunque richiedono di essere smaltiti in maniera particolare e non possono essere gettati in discarica). Di questi 100 kg di rifiuti speciali, solo 1 kg sono i rifiuti radioattivi dovuti alla produzione di energia elettrica da nucleare. Ma attenzione: abbiamo visto che i rifiuti radioattivi di basso e medio livello richiedono solo di essere stoccati temporaneamente, perché perdono la loro radioattività nel giro di qualche anno/decennio, le vere “scorie radioattive che durano per migliaia di anni” sono quelle di alto livello. Queste ultime ammontano ad appena 11 grammi pro-capite, poco più di una parte su diecimila rispetto al totale dei rifiuti tossici prodotti annualmente da un cittadino francese.

Per visualizzare meglio questo dato, potete pensare che se usaste energia nucleare per ogni singola esigenza della vostra vita (dall’elettricità domestica al ricaricare la batteria di un’auto elettrica all’alimentare i trasporti pubblici) il volume di scorie radioattive che produrreste nel corso di tutta la vostra vita sarebbe pari a quello di una lattina di Coca-Cola.

Nella foto 1 potete vedere in una singola stanza grande più o meno come una palestra da basket tutti i rifiuti radioattivi di medio e alto livello prodotti dalla Svizzera in 45 anni. Notate che c’è ancora parecchio spazio vuoto e che le persone possono tranquillamente sostare in presenza dei contenitori senza doversi dotare di dispositivi di protezione.

Qual è l’impatto ambientale delle scorie radioattive?

Molte persone sono convinte che le scorie radioattive avvelenino irrimediabilmente il pianeta: niente di più falso. In realtà il pianeta è radioattivo già di suo, e abbiamo ampia evidenza del fatto che nemmeno dei fallout nucleari come quello di Chernobyl o come quelli dei test atomici militari alterino drammaticamente gli equilibri naturali, figuriamoci la presenza di sostanze che decadono lentamente nel tempo.

La vera pericolosità dei rifiuti nucleari è dovuta al loro effetto sull’uomo, non sull’ambiente, ma in questo non sono diverse da moltissimi altri rifiuti tossici che l’umanità produce a livello industriale: dagli scarti della raffinazione degli idrocarburi ai rifiuti speciali prodotti dalle industrie farmaceutiche, dai pesticidi ai liquami tossici prodotti dalla lavorazione delle terre rare (con le quali si fanno i circuiti degli smartphones, le batterie e i pannelli solari).

La differenza è che la quantità di scorie radioattive che si producono è drammaticamente inferiore a quella dei rifiuti tossici dovuti a qualunque altro tipo di industria. Per fare un paragone, secondo uno studio di Environmental Progress, a parità di energia prodotta i pannelli solari generano una quantità 300 volte maggiore di rifiuti speciali rispetto all’energia nucleare (mi si dirà: in realtà molti dei rifiuti speciali dovuti ai pannelli solari sarebbero riciclabili, non viene fatto solo per motivi economici. Già, proprio come le scorie nucleari).

Ma le scorie nucleari restano radioattive per decine/centinaia di migliaia di anni!

Non proprio. Abbiamo visto che le scorie di alto livello sono composte da Uranio 238 esausto (quindi con piccole percentuali di Uranio 235 e Plutonio, insufficienti ad alimentare reazioni di fissione) e dai prodotti di fissione. Questi ultimi sono costituiti per i due terzi da isotopi stabili e per la parte rimanente da sostanze radioattive, alcune delle quali sono pericolose per la salute (in particolare il Cesio 137, lo Stronzio 90 e lo Iodio 131). Ma i prodotti di fissione non hanno tempi di decadimento millenari: tra tutti gli elementi che si generano dalla fissione dell’Uranio, il tempo di dimezzamento più lungo è quello del Cesio 137, ed è di circa 30 anni; il più pericoloso tra i prodotti di fissione, lo Iodio 131, si dimezza in appena 8 giorni.

Dunque la componente più pericolosa delle scorie di alto livello esaurisce la sua radioattività in tempi relativamente brevi (paragonabili a quelli della permanenza nell’ambiente di molte plastiche).

L’Uranio esausto è invece quello che resta radioattivo per tempi molto lunghi, ma è assai meno tossico: innanzitutto perché i tempi di decadimento così lunghi sono proprio dovuti ad un’emissività radioattiva bassa, e in secondo luogo perché il principale modo di decadimento dell’Uranio è l’emissione di particelle alfa, che sono estremamente facili da schermare (in effetti la nostra pelle è più che sufficiente allo scopo). Per avere effetti sulla salute da emissioni alfa occorre avere irradiazione interna, cosa che sostanzialmente si potrebbe verificare solo se l’Uranio venisse ingerito o inalato, il che implica che l’unica cosa a cui bisogna fare realmente attenzione nello stoccaggio delle scorie radioattive è la possibile contaminazione di falde acquifere. Ma anche in quel caso i rischi sarebbero estremamente ridotti: nel 2009 uno studio finlandese sul “worst case scenario” faceva la seguente stima.

  • Supponiamo che un sito di stoccaggio di scorie nucleari progettato per durare decine di migliaia di anni sia costruito male e dopo appena mille anni inizi a disperdere materiale radioattivo nell’ambiente.
  • Supponiamo che la radioattività non venga assorbita dalle rocce circostanti, ma contamini una falda acquifera.
  • Supponiamo che sopra quella falda acquifera venga ad un certo punto costruita una città nell’anno 12.000 DC (ovvero quando la falda ha raggiunto il massimo della contaminazione possibile)
  • Supponiamo che gli abitanti di quella città consumino solo cibo e acqua provenienti da quella zona e spendano tutto il loro tempo nel singolo metro quadro dove la radioattività ambientale è più alta.

Se anche tutto questo si verificasse la dose equivalente di radiazioni assorbita da un abitante della città del futuro sarebbe di appena 0,0002 mSv all’anno. Ben due banane. Trovate lo studio qui: https://www.osti.gov/etdeweb/servlets/purl/22134703

E tutto questo senza considerare che, repetita iuvant, la componente più duratura delle scorie di alto livello è anche quella riciclabile.

Ma allora perché le persone hanno tanta paura delle scorie radioattive?

La triste risposta a questa domanda la potete vedere nell’immagine 2, una delle tante immagini di repertorio che saltano fuori se cercate su google “scorie radioattive”. Notate anche voi una lieve differenza rispetto all’immagine 1? Immagini del genere sono costantemente utilizzate da giornali e riviste per trattare il tema con toni catastrofisti e approccio totalmente anti-scientifico. Da dove arrivano queste visuali terrificanti di taniche arrugginite buttate nei boschi dalle quali fuoriesce liquido verde fosforescente? È presto detto: dai videogiochi.

Quella nell’immagine è stata presa da S.T.A.L.K.E.R., ma in generale le ambientazioni di Fallout, Half-Life e svariate altre saghe post-apocalittiche sono state saccheggiate a più riprese.

L’immagine in questione è stata utilizzata come copertina per un articolo della rivista ambientalista GreenMe sulle scorie radioattive: nel riquadro evidenziato potete leggere il profilo dell’autrice. Laurea in scienze erboristiche, la Cipolla tuttofare, la Salvia tuttofare e i cosmetici fai-da-te: l’ideale per parlare di rifiuti nucleari con competenza e cognizione di causa, direi.

Curriculum da sindaco di cialtronia, Microsoft Paint, nessuna idea dell’argomento, e si va a vendere paura anche oggi.

-Luca